Riunione-colazione
Appena svegli organizziamo subito una tavola rotonda e produciamo le seguenti decisioni (come al solito relativamente definitive e passibili di un milione di modifiche):
- gita a Naxos lunedì
- gita a Santorini martedì
- spostamento a Minchionos martedì
E per di più parte anche un propostone per una due giorni ad Atene dove, per spirito di democrazia, io e la Silvia ci procureremo dei lividi cadendo dall’Acropoli.
Mr. Planet stuzzica la mia curiosità con la descrizione di un ostello della gioventù gestito da filosofo socratico prestato al settore alberghiero che affitta anche posti letto su una terrazza coperta. Però non ci piace molto il Planet quando, nel tessere le lodi di rinomato festival ateniese, arriva a dire che in passato hanno suonato “addirittura” i Jethro Tull. E se questa è un’annata di merda quale deliziosa band può capitarci di ascoltare?
Io e la Falci comunque vogliamo assistere al concerto di quello che canta “a casa mia, davanti a un furgone”.
La riunione ad un certo punto si trasforma in un collettivo anarco-insurrezionalista.
Ogni due per tre l’edificio in costruzione di fianco al nostro (quello “no doors, no windows”, per intenderci) ci ispira idee balzane a partire da bbq gigante fino a rave party illegale con musica spinta da lettore mp3 e mini casse da viaggio. Ci rendiamo conto che, però, tutte queste belle iniziative che ci motivano moltissimo non rendono giustizia alla voglia di avere un articolo che parli di noi sui giornali locali.
Allora, in un clymax ascendente di rabbie represse proponiamo nell’ordine:
- di tirare una bomba carta al comando di polizia (assicurandoci che la pornopoliziotta di Simone non sia di turno)
- di avvicinarci con fare sospetto alla residenza di Anna Platanou con un sanpietrino in mano e urlare (tipo Fantozzi): “allora ci avete preso per il culo tutti questi anni!”, prima di rapire la vecchia e chiedere come riscatto una percentuale del 10% di tutto l’introito degli affitti di agosto
Con queste due mosse daremmo quindi avvio alla nuova intifada di Paros e i media non parlerebbero che di noi.
Il rimorchio è una cosa seria
Con lo Stridore percorriamo la strada che porta a Noussa (ci manca poco che Simone scenda dalla macchina e vada a deporre un mazzo di fiori o, peggio, un fascio di sterpi sul tristo luogo dell’incidente con il quad).
La fiorente cittadina del nord pullula di gioventù in top sgargianti e bermuda a fiori.
Dopo affannosa ricerca senza esito, sotto sole allo zenith, di camere e appartamenti, ci facciamo addirittura ridere in faccia, e in modo sguaiato, da ricciolona del luogo momentaneamente impiegata in piccolo bungalow punto-info quando le chiediamo se, per favore, sa indicarci qualcuno che affitta una camera per cinque.
Pare non ci sia posto neppure al camping.
Ci giochiamo allora la carta Dimitri Luxuria.
Con buona pace dei nostri corpi bollenti, delle nostre menti bollite. delle nostre insalate greche, gli estorciamo 2 camere (una addirittura dotata di balcony da cui vedere FUOCHI AND FIESTA il 15) e stavolta direttamente nell’head quarter di Anna Platanou. Un po’ come un posto in prima fila alla prima della Scala.
Mentre ci gustiamo le nostre insalate greche completamente soffocate dalle olive nel bar di fianco a quello del primo figo visto sull’isola e mentre la Falci tenta di far sgonfiare due ditina del piede schiacciate dalla Silvia che ci si è seduta sopra con una sedia (e mentre quindi vediamo girare l’ennesima borsa del ghiaccio di questi giorni), la nostra compagna di viaggio più alta e abbronzata si prodiga nella parte pratica della lezione di approccio al mondo maschile in assoluto più efficace a cui io abbia avuto l’onore di assistere.
Prendere nota.
Scatta fotografia a tre manzi seduti tre tavoli più indietro, assicurandosi di essere vista.
Commenta compiaciuta le foto alternando sguardi alla macchina fotografica e sguardi ai tre manzi. Che dopo solo tre secondi ricambiano le occhiate e ridacchiano orgogliosi facendo finta di leggere il giornale.
I tre tizi sono nell’ordine: il sosia greco di Fabio Galante, un abbastanza anonimo “barbetta” e un super trucido zeppo di cicatrici (la nostra immaginazione ci porta a pensare che probabilmente siano state prodotte dai conflitti a fuoco che lo hanno visto in prima linea negli ultimi anni).
Ovviamente parte spartizione preventiva dei tre. Numero mai stato così perfetto visto che la Falci, con il suo rifidanzamento a distanza, si è automaticamente tagliata fuori da ogni schermaglia amorosa estiva.
Risatine, risatone, finche il tizio con la barba di tre giorni viene al nostro tavolo e chiede di visionare le foto. Missione compiuta.
In breve si presenta (nome: Kostantino, esemplare di uomo ateniese laureato in economia e commercio all’Università de L’Aquila), mentre gli altri due, ancora seduti al loro tavolo, perseverano nella finta lettura del giornale (nessuno ha controllato ma probabilmente i quotidiani erano anche al contrario).
Ci pensa la Barbara ad abbassare il livello della conversazione quando Kostantino si assenta un attimo e ritorna con un’aspirina (indice del fatto che i tre, che sono “ovviamente” italo-greci, hanno sentito e compreso perfettamente tutti i nostri discorsi sulla sindrome premestruale della Silvia e anche tutti i nostri commenti del cazzo su di loro).
Barbara: - No la Silvia non ha la febbre, è che…ha problemi di mensilità
Silvia: - Detto così sembra che sono incazzata perché non mi è ancora arrivato lo stipendio
Il Kosta cala il suo numero di telefono e ci diamo un mezzo puntello alla playa di Santa Maria.
In tutto ciò Simone:
- da un lato evita che mandrie imbufalite di uomini in calore si gettino su di noi (l’ottimismo è il sale della vita…) dal momento in cui instilla il dubbio che potrebbe essere il fidanzato di una di noi, ma di chi non si sa.
- Dall’altro cerca di fornire il punto di vista maschile di ogni situazione, e direi anche inutilmente dato che le donne sono comunque avanti e gli uomini producono pensieri di livello standard
Simone: - E dunque voi non avete la stessa ricettività del mio basilico quando lo innaffio al pomeriggio…
La spiaggia di Santa Maria e l’aggeggio infernale
E finalmente si videro i gggiovani.
La spiaggia molto cool dal nome ecclesiastico ci si para innanzi come una distesa di corpi ambosesso unti di monoi.
Ambiente variegato finalmente over 30, un po’ riccione-bene e un po’ copacabana de noantri. Visto il volume della musica del beach-bar possiamo permetterci di nuotare a ritmo, scansando ogni tanto una delle due milioni di pallette per racchettoni che volano in giro e che anche qui non mancano di rompere il cazzo (nb: sport nazionale dopo gli scacchi, il backgammon e lo sguardo di sfida).
Ad un certo punto decido di deliziare il palato del mio verme solitario (che adesso ha anche un nome: Zorba il greco) con il gelato confezionato più mastodontico mai prodotto dall’industria dolciaria.
Intanto Kostantino telefona ma non ottiene risposta.
La canzone dell’estate: rappresentata da pezzo-discoteca composto da parte instrumental (cavallone per impizzoni dal ritmo che conquista) e ritornello in cui una giovane donna in un clymax di ansimi raggiunge l’orgasmo.
Vorrei tanto chiedere ad un diggei di mettere il mio pezzo preferito, ma, non sapendone il titolo, mi imbarazza un po’ canticchiarla per far capire qual è.
Raccogliamo sul far del tramonto pareo e burattini e passiamo di fianco ad uno di quei punti rentsomething che affittano vari ammenicoli d’acqua unitamente a windsurf, e che non si trovano solo in California.
Mentre quella baccagliona della Silvia, capito che il suo metodo funzica, scarica un rullo su più o meno prestanti istruttori Isef prestati alle diavolerie acquatiche, io e la Falci ci troviamo improvvisamente, e senza capire bene il perché, a firmare un contratto in cui decliniamo da ogni responsabilità in caso di morte colui il quale, con un motoscafo impazzito ci trascinerà su una specie di ciambella mortifera (nome tecnico: tube).
All’impresa si aggiunge il Ghezzi.
Prima di salire su quel robo delirante vengo prima assalita da fremiti d’ansia. Poi subito dopo mi chiedo perché le idee del cazzo partano sempre da me.
Io non ero così una volta. Odiavo pure le giostre.
Io: “Uh, vi avverto che su quel robo io urlerò come un tacchino che stanno strozzando”
Punti di vista esterni all’impresa.
Punto di vista della Barbara: “Mentre Simone sembra seduto sul cesso a rollarsi una sigaretta, la Falci è un tutt’uno di nervi e muscoli tesi a tenersi alle maniglie per non cadere in acqua e finire tritata dal motore dello scafetto. Valenta: gambe tese in avanti, piede contratto e faccia deformata dalle urla costanti e agghiaccianti per tutti i 15 minuti del giochetto.”
Punto di vista della Silvia: “Sono stati i 15 minuti più lunghi della vacanza, sospesi tra il divertimento tanto anelato e la paura di perdere i miei compagni di viaggio.
Tre ciambelle ripiene e impazzite nelle mani di un sadico Antonis che alla fine di tutto ha la faccia tosta di affermare che non si è divertito abbastanza. Comunque dopo le urla, le botte prese, i mancati capottamenti la Vale ha il coraggio di chiedermi se sono riuscita a fotografare i momenti in cui è riuscita a sfuggire alla morte.”
Punto di vista interno, di me dentro al ciambellone: Il motoscafo parte abbastanza lentamente, lasciando a noi tre menti suicide il tempo di tenerci la mano un’ultima volta.
Poi, improvvisamente, senza essere riusciti a sgranare il rosario per ancora due giri, veniamo trainati a velocità improponibile (direzione: Naxos). Tutto a posto (oddio: un trapianto di reni ci stava tutto) finchè ogni ciambella, saltando sui giganteschi cavalloni della scia lasciata precedentemente dal motore a un miliardo di cavalli dello stesso motoscafo, seguiva la sua corsia.
Il problema vero era quando cominciavamo a balzare uno sopra l’altro.
Non dimenticherò mai il momento in cui un ciambellone ripieno di Falcinella a velocità supersonica si è alzato in aria venendosi a scagliare contro il ciambellone ripieno di me. Che credo di aver definitivamente messo fuori uso una corda vocale a furia di urlare (non potrò più purtroppo, mi dicono, cantare una canzone con un “sol” dentro).
Quel figlio di mignotta di Antonis dal motoscafo si faceva beffe di noi scommettendo chi sarebbe stato droppato in acqua per primo. Ma nessuno è caduto.
Io però ho lasciato sul diabolico gonfiabile due pezzi di gomito.
La nostra amica Silvia (poi soprannominata “la profumiera” perché non la da ma la fa annusare), mentre noi aspettavamo con ansia di morire per non prolungare l’agonia, è riuscita a fare delle pr micidiali e a volantinare il suo numero di cellulare anche sul motoscafo che ci trainava. Magari questi sono pazzi maniaci e stupratori seriali però hanno quel che da istruttore di qualchecosa che piace tanto a noi donne.
Mi duole constatare che lei abbia praticamente approcciato tutta l’isola di Paros tranne il secondo figo ufficiale avvistato fin’ora.
Datti da fare che io sono pigra.
La cumpa sportivona ci saluta, noi 3 coi bacini fracassati arranchiamo, la zoppa fa punti e virgole sulla sabbia, la figa di Parigi in pareo dà appuntamenti, prende biglietti da visita, fa gli occhi dolci (completamente dimentica dei suoi problemi di mensilità).
Pochi metri più in là e, oplà, partono una serie di cuba libre (è definitivamente chiuso il periodo in cui ordinavamo un’acqua, una coca e una birra).
In questo posticino molto on the beach troviamo anche l’energia di scattarci delle foto molto buddha bar.
E poi, via, a casa ad usufruire per l’ultima volta del pulsante “hot water”.
Terza sera a Noussa (perseverare diabolicum est)
Belli come il sole, anzi, più del sole ma purtroppo fisicamente conciati un po’ di merda, prendiamo lo Stridore e ci scagliamo per la terza sera a Noussa.
Ottimi proponimenti: “Ah, stasera cena della madonna e stavolta con un tovagliolo di stoffa, qualche drink e poi ballo pazzo in disco”.
Ma ‘ndeche.
Nonostante sia mezzanotte non si trova un tavolo libero.
Quindi, per non venire dilaniati dai morsi della fame, finiamo nella solita tipicissima rosticceria con tovaglie di carta a mangiare l’ennesimo gyros pitta (che ormai chiamiamo con livore “il rotolo ‘emmerda”).
Quella roba lì e il vino ci forniscono un abbiocco fenomenale.
E dunque sfumano un’altra volta i divertimenti.
Nonostante si siano fatti vivi con proproste più o meno porno, Kostantino, Lefteris e la Jenny from the block.
Piovono pacchi su Noussa.
Torniamo a casa arrancando.
L’evento più ripreso dopo l’11 settembre
A casa mi rendo conto che la CocaCola che ho bevuto durante il tragitto mi sta per offrire la possibilità di fare il rutto più potente della mia vita.
Avviso i compagni, che mi dicono di voler assolutamente documentare la cosa, che il rutto in fieri ha tutte le carte in regola per diventare evento.
Con mia grande perplessità però il rutto svanisce nel nulla (“non mi era mai successo, io ho sempre ruttato liberamente”) mentre mi accorgo di avere puntati addosso strumenti tecnologici di ultima generazione.
Simone per una buona mezz’ora mi dà invano dei colpetti sulla schiena come si fa coi bambini.
Nb.: tutto ciò è stato detto come giustificazione di n video che circoleranno sul web di me, sopraffatta da un rutto che non esiste.
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