martedì, agosto 29, 2006

SABATO 19 AGOSTO

Atene (a noi no, ma a qualcuno piace caldo)

Vengo svegliata dopo una serie di sogni vari e abbastanza allucinanti da una musichetta tipo Zion Train diffusa da un altoparlante. Scopro con orrore di essere sdraiata per terra e nel solito punto di passaggio. I miei piedi finiscono dove inizia la testa della Falcinella.
Appena realizzato di essere in nave, quel tizio che più volte ci ha invitato a spostarci (e che, facendo parte dello staff della nave, è subito stato soprannominato “ufficiale e scassacazzo”), con “molta educazione” ci intima di levarci dalle palle. E con gran piacere ci leviamo dalle palle.
Presi zaini e borsette e sacchi a pelo e ouzo, percorrendo il viaggio di andata a ritroso, ordiniamo la nostra prima colazione ateniese al Cape Town del Pireo.

Taxi station, ore 6 del mattino.
Il primo tassista ci rimbalza in malo modo e non si capisce perché (ovviamente non parla inglese e sfodera lo sguardo di sfida), poi fa salire un suo amico e scappa.
La Falci mi guarda perplessa. E io sono ormai abituata alla perplessità.
Il secondo tassista non è molto per la quale, sembra un po’ uno messo su quella macchina per sbaglio, però ci carica e si dirige verso Pangrati, il quartiere dell’ostello.
Alla fine del tragitto ci chiede 5 euro. A Milano la distanza equivalente ne sarebbe costati almeno 25.
Peccato però che non capisce niente, è molto confuso sul numero civico, gli urliamo “here!here!” ma lui prosegue lo stesso. Finchè non si ferma a circa 200 metri dall’ostello e non ne vuole sapere di tornare indietro.
I taxi ateniesi sono un po’ come la Xamamina: valgono tutto il loro prezzo.

Dunque eccoci nello Youth Ostel nr5 di atene.
Roba super sgrausa per globetrotters senza puzza sotto al naso.
Mentre aspettiamo che qualcuno ci degni di attenzione (qualcuno ci sarebbe ma “dorme, ha sonno e non ha molta voglia di svegliarsi adesso”), ci assopiamo sugli zaini di fianco ad una giapponese idiota. Mentre mandrie di teenagers francesi in mutande girano a destra e a manca con scatole di cereali in mano.
All’improvviso compare ciccionazza che apre la porta di quello che sembra tutto (cambusa, deposito di cianfrusaglie, magazzino in disuso) tranne che una reception. Dopo averci fatto firmare delle carte abbastanza inquietanti ci consegna numero 3 federe e numero 3 lenzuola. Su tutta questa biancheria lisa e improponibile è vergato con pennarellone il nome dell’ostello a grandi lettere (mi sembra di aver speso già parole in merito alla paura dei greci che TU gli fotta le cose).
La stanzetta è una specie di merdaio con due letti a castello e un letto singolo, abitata da due tedesche giovani e sozzone che al nostro ingresso dormono della grossa. E con i piedi voncissimi.
In fretta e furia ci leviamo i vestiti, facciamo il letto con i cenci e perdiamo i sensi.

Minchia che caldo. Senza esagerare ad Atene fa un caldo veramente insostenibile.
Ogni tanto giunge qualche timidissima folatina di venticello, ma la sensazione generale è sempre e comunque quella di stare dentro un forno ventilato.
Dormiamo due ore. Sonno agitato pieno di sogni assurdi.
Una sudata che ricorderò a lungo. Lo ricorderanno anche quelle lenzuola che adesso fanno concorrenza alla Sacra Sindone.

La stanza è dotata di un balcony in comune. La vista di via Damareos non toglie il fiato ma tutto sommato è un quartiere decente.
Ciò che è abbastanza indecente, invece, è il famoso terrazzo tanto decantato da Mr Planet e dove noi volevamo a tutti i costi andare a dormire. Una veloce perlustrazione ci ha permesso di scoprire che vi si accede dal cesso dei maschi e che è una specie di deposito di sacchi a pelo e viaggiatori pankastri sprovveduti.

E scoprimmo di sapere di non sapere

Usciamo alla scoperta di questa città. Inutile dire che fuori il sole sta dando il meglio di sé.
E ci manca poco che evaporiamo strada facendo (la mia mente allucinata viaggia veloce e prevede già il ritrovamento dei nostri corpi davanti al municipio, completamente disidratati, tipo mummia del Similaun).
Fa troppo caldo per andare subito all’Acropoli.
Visitiamo nel frattempo il quartiere turistico di Plaka (“por un beso della Plaka…”), progettato per spennare polli provenienti da tutto il mondo.
Ogni circa 20 metri ci fermiamo al tavolino di un qualche bar a bere dei liquidi.
Io e la Falci compriamo due guide uguali di Atene e, in una delle tante soste che ci sottraggono a morte certa per colpo di calore, studiamo ben benino la composizione archeologica del sito culturale che ci attende.
Purtroppo il neurone Piero, l’unico operativo durante tutta la giornata, non è stato in grado di comprendere appieno tutte ma proprio tutte le descrizioni piene di date nomi dettagli tecnici. Fa niente. Noi procediamo. Tanto a noi chi ci ammazza più.
Come l’intrepido protagonista del film Point Break sfida la grande onda nel finale, decidiamo che è giunto il momento di scalare la sacra rupe.
Pendenza micidiale, salita diabolica su marmo scivoloso, zero punti d’ombra.
Il pensiero va subito alla Barbara che, da quel di Milano, con un tempismo micidiale ci invia questo sms:
“Dopo aver girato 3 ospedali perché di sabato gli ortopedici latitano, approdo al Galeazzi dove un “dottorone” mi dice che secondo lui l’osso non è rotto, la radiografia è sbagliata…diagnosi: ecchimosi interna, benda rigida per 10 giorni e fisioterapia. E famose sti altri giorni con le stampelle…”

Frattura o contusione che sia, la Barbara sull’Acropoli: BUT ALSO NO.

Una volta in cima il momento è mistico.
Atene dall’alto sembra quasi una bella città (ma la Silvia mi riporta subito coi piedi per terra: “da lontano tutto sembra bello Vale”).

Intervento della Silvia:
“Pur confermando la bellezza dell’Acropoli devo a questo punto del racconto segnalare che la Valenta mi deve aver preso in affitto come fidanzato chiedendomi nell’ordine:
-massaggi per riprendersi dal viaggio
-1129 fotografie
-grattini sulla testa e sulle braccia
-di spalmarle la crema sulla schiena ogni sera
Urge lettera/telefonata di lamentela alla Daniela”
Nb.: La Daniela, per chi non lo sapesse, è mia madre.

E comunque, nonostante le 1129 foto (di cui 1120 all’acropoli), non sono riuscita a farmi ritrarre come fece Susan Sontag negli anni ’60, nel suo viaggio cultural-iniziatico in Europa.
In compenso ho una serie di scatti di me con sfondo del monte Licabetto e dito della Falcinella davanti all’obiettivo.

Camminando per le strade della Plaka un greco mi apostrofa: “bella italiana napoletana!”.
E io non so se incazzarmi o se andare fiera del mio fantastico Capri-style.

“Katse! Katse!” è l’invito a sederti che ti rivolgono i greci.
Va da sé che “katso” vuol dire sedia.

Azzurro, il pomeriggio è troppo azzurro e lungo per meeeee…

Dopo tutto questo splendore e/o sindrome di Stendhal, giusto per abbassare il livello del pomeriggio, sentiamo fortemente l’esigenza di fare un giretto panoramico della città sull’immancabile trenino trash che piace tanto a noi bambini.
Le 3 bambine si lasciano cullare dalle parole in greco del guidatore.
La storia sfreccia a destra e a sinistra ma il neurone Piero non dà più segni di vita.
Alla vista di rovine romane escono poi affermazioni tipo: “bah, quella è roba recente”.
La saturazione da imput ha toccato vertici mai esperiti. E ci viene un sonno della madonna.
Resistiamo alla sonnolenza come Ulisse resistette al dolce canto delle muse (nb.: non è vero e proprio sonno…noi amiamo chiamarla “ebrezza”), e ci trasciniamo stancamente nel quartiere mangereccio di Monastiraki. Quello con i localini.
Lì io e Zorba deliziamo il nostro palato con dei sopraffini dolmades.

Storie di taxi e di disagio

Un po’ come Carrie Bradshaw o Audrey Hepburn cerchiamo dal marciapiede di abbordare un taxi. Il primo di default ci scavalla senza motivo. Il secondo ci dice (o meglio, ci fa intendere) che possiamo salire. Che bello. Peccato che sia l’uomo più repellente dell’universo. Ovvero: una pancia gigante che non gli permette di arrivare agevolmente con le braccia al volante, cappellino da baseball sotto cui molto probabilmente si annida un’insalata greca. Ma la cosa figa è l’alito. La Silvia, che gli è seduta accanto, ha tutta la testa fuori dal finestrino.
Il monito è perentorio: “per piacere non facciamogli domande”.
Oltre a non essere proprio un figurino gradevole, non possiede un tassametro, guida abbastanza di merda e non conosce affatto le strade di Atene.
Ad un certo punto si ferma dalla sua cumpa di tassinari amici per avere chiarezza e lì volano frasi in inglese e uno si impossessa per un po’ del cellulare della Falci.
L’homo orribilis riprende a guidare e ci passano di fianco due truzzi in motorello, urlano cose incomprensibili e lui, sogghignando beffardo esclama:
“…PUTTANAS…!”
Inutile dire che nemmeno il pestilenziale riesce a portarci davanti al portone dell’ostello. Però, che figo, ci fa scendere direttamente in mezzo ad un incrocio pericolosissimo. E poi manda un bacio con la mano alla Falci (fortunella…).

Aaah…che bbello tornare a casa!
Situazione cameretta: le due teutoniche si stanno preparando per la vita. Scansando con il piede scarti di cibo e mutande in putrefazione, organizzano un mini defileè di capetti stile charleston che levati. Ormai abbiamo smesso di chiederci, questo si sa. Una domanda però pulsa di nascosto nella scatola cranica: “dove cazzo andranno mai queste conciate così che Atene fa cagare?”
Intanto noi, seguaci dell’igene per partito preso, ci concediamo una doccia.
Ci vogliono delle monetine. Non le abbiamo. Getto gelido. Shock termico. Ci passa tutta la vita davanti e Licia Colò balla con gli orsi bianchi. Però…sorpresa.
Anna Frank nel tragitto dal bagno al letto saluta, ammonisce, perdona.
Le due vichinghe devono aver intenzione di darla via parecchio stanotte perché la scelta dell’abito prende più tempo del previsto.
Dal mio punto di vista, se si fossero lavate un attimo i piedi e avessero raccolto un po’ di ruffo, il loro fascino ne avrebbe tratto di sicuro beneficio. Ma vaglielo a dire.

Notte torrida.
Io mi convinco nel sonno di essere ricoperta di pulci.
La Falci si sveglia all’improvviso e, temendo di essere stata abbandonata, manda un sms: “dove siete?”. La Silvia si sporge dal letto sopra e dice: “qui”.

Nessun commento: