Il primo giorno di vacanza
Io e la Cri indugiamo nel letto mentre la Silvia alle 6.30 accompagna gli altri due al traghetto per Mykonos (da lì prenderanno subito dopo un aereo per Atene).
Nel bel mezzo della fase rem qualcuno bussa alla porta e la Cri va ad aprire. In mutande e con gli occhi ridotti a una fessura.
E’ la madre di Manos che intavola una discussione unilaterale e molto concitata in greco strettissimo (anche se era largo a noi non ci cambiava granchè…).
Dal mio letto ghigno beffarda. Poi esplodo in una risata quando la Falci, terminato l’incomprensibile monologo della sciura, domanda: “Ma in che senso?”.
In breve: la signora aveva paura che gli altri due fossero scappati con la chiave dell’appartamento. Come l’abbiamo capito? Perché tra tricchebballacche ha pronunciato la parola “garconniere”, che è l’unico vocabolo internazionale che ci è stato permesso di comprendere.
Quando torna la Silvia ci ritroviamo in tre. Le tre donne avventura. Quelle con gli zaini pieni di canotte di piombo. E probabilmente anche di scarrafoni preistorici.
Colazione godereccia alla pasticceria Nikita di Marpissa (la tentazione di fare una ceretta al volto della giovane proprietaria ciccionazza è insistente, non ne possiamo più di queste “uome” greche che si lasciano andare).
E dunque ci concediamo l’unico, vero, tranquillo, rilassato, appagante giorno di vacanza.
Svaccate al sole della spiaggia di Krios. La prima conosciuta è anche l’ultima che si saluta.
Attenzione: mentre prendevamo il sole è successo il nulla. E questa è una cosa degna di nota.
Ubriache di sole ordiniamo birra e Martini, giusto per salutare degnamente il nostro dj sfigato greco preferito (che anche oggi mi regala il pezzone della tipa che orgasma).
Ultimo tragitto verso i monti, tramonto come al solito bellissimo, un pizzico di malinconia.
Sentimento dolce e contrastante che viene subito ucciso dalla mamma di Manos una volta giunte a casa.
Questa volta la signora si è munita di un’interprete simultaneo (Fanny, la cugina di Manos).
Il succo è che questi, nonostante l’apprezzatissima ospitalità, hanno paura che gli fottiamo le cose. Non si capisce bene se la sciura sia trafelata di suo oppure se viva un po’ come una tragedia greca la possibilità che le portiamo via gli asciugamani. Di cui, va detto, non ce ne po’ fregà de meno.
Mentre Fanny ci parla in inglese, la mamma di Manos continua a gesticolare lo stesso.
D’altronde alla diffidenza degli isolani qui va aggiunta anche quella dei montanari. Un mix micidiale.
Quando lasciamo la garconniere e salutiamo sciura e marito, il livello del dialogo raggiunge il top. Loro si sbracciano, muovono le mani, pronunciano frasi dal suono buffo. E noi rispondiamo in inglese misto ad italiano. L'inglese, vista la sua inutilità, viene fuori pure malino (Silvia: “Tenk!”), ma tanto, chissenefrega, potevamo pure insultarli nel peggiore dei modi che era lo stesso.
Anzi, ci è venuto pure il dubbio che i due vecchi fossero molto più avanti e che si stessero inventando una lingua che non esiste, giusto per beffarci. Oppure, che è ancora più avanti, che ci stessero ricoprendo di saracche in greco.
Uffa. Riportiamo l’Atos-Stridore alle robustone. Sull’onda delle foto-ricordo dell’ultimo giorno a Paros, ci facciamo immortalare anche con questi due capisaldi dell’isola (peccato non aver mai potuto dire al telefono “ehm…scusate ma l’Atos si è incendi-atos”).
Senza mezzo e quindi a piotti vaghiamo l’ultima volta per le stradine di Parikia. Avevamo appena smesso di fare le sborone (“Ah, se fossimo state qui stasera si che ci scappava la disco”) che veniamo invase tutte e tre da un senso di spossatezza infinito.
Sfiliamo stancamente gli ultimi bocconi di souvlaki dallo spiedino e babbiamo il set sale-pepe al nostro ristorantino preferito che, guardacaso, si chiama “I’ve an idea”. Set che si abbina perfettamente con il design del portacenere dello Shark.
Premio miglior sboccata sfiorata per un pelo:
Siamo in attesa della nostra nave per il Pireo. Vediamo persone che nella vita normale sono probabilmente rispettabilissime trasformarsi in animali alla vista di un portellone di traghetto che si apre.
La Silvia decide di calarsi una Xamamina.
Le passo la bottiglietta d’acqua gentilmente offerta dalla mamma di Manos (“chee carinaa…daai…ci da l’acqua per il viaggioo…”).
Sta per trangugiare il tutto quando si accorge all’improvviso che il contenuto non è acqua, bensì ouzo.
Ecco perché quando ce l’ha data ha detto:“…OUZO…!”
Non facciamo in tempo a fare ciao ciao a Paros che siamo già nel magico mondo di Caronte.
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